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Customer Experience, i dati sono una risorsa imprescindibile

Per ottenere risultati bisogna mettere i clienti al centro e analizzare attentamente i dati

La Customer Experience non può che essere Data Driven: per capire e valorizzare i propri clienti, le aziende devono metterli al centro utilizzando i dati. Questo quanto emerge dalla tavola rotonda digitale organizzata da Customer Management Insights (CMI), che ha chiamato alcuni esperti del settore per discutere di come creare valore per le aziende e per i clienti.

Customer Experience Data Driven: mettere i clienti al centro tramite i dati

Customer Management Insights (CMI) ha organizzato una tavola rotonda che parte da alcune interessante evidenze statistiche riguardo alla Customer Experience (CX), che sempre di più resta al centro delle discussioni quando si parla di marketing e non solo. Ma se le aziende sanno dell’importanza di questo aspetto, molte non hanno gli strumenti o la consapevolezza adatta ad analizzare il Customer Journey.

Solo un’azienda su cinque dice di avere una relazione con i propri clienti: la consapevolezza di quanto è importante tracciare la Customer Experience c’è, ma poche aziende riescono a farlo in maniera efficace. Da un punto di vista pratico, per via della scarsa cultura del dato. Spesso si fatica a distinguere fra i dati significativi e quelli che interessano poco. E poi molte volte si tende a generalizzare, rendendo la CX un concetto vago, mentre invece serve capire quali dati tracciare in base al tipo di azienda e al settore (l’esperienza utente fra il mondo fashion e quello del gaming per esempio è molto diversa).

L’importanza del dato

Pier Paolo Bucalo, fondatore e Managing Director di A12Lab, intervie a riguardo spiegando che l’analisi del dato permette di andare incontro all’utente nel quotidiano, quando fa davvero la differenza. “Senza dati non si può capire quello che vuole il cliente. Il rischio altrimenti diventa di fare marketing sensazionalistico, senza dare un valore aggiunto al cliente. Per questo motivo spesso serve avvicinare il processo decisionale al cliente, per esempio dare più libertà agli store manager invece che decidere tutto nell’ufficio marketing centrale. Ma senza un’analisi della Customer Experience diventa impossibile fare scelte oculate, che migliorano l’esperienza dei clienti nel quotidiano”.

Per mettere al centro i bisogni dei clienti e raccogliere i dati per analizzare il loro rapporto con azienda e prodotto, i Contact Center diventano sempre più un punto fisso. Marta Lenzi, Account Executive di Talkdesk, lo sa bene. “Il contact center è cambiato molto negli ultimi anni, include diversi canali. A seconda della complessità di questi centri, possiamo rilevare diverse KPI: la soddisfazione del cliente, il numero di chiamate perse (problema tecnologico, di risorse umane?), il tempo medio di abbandono o di attesa, e molti altri. Ogni business deve capire quali sono quelli fondamentali e definire dei parametri per capire se il servizio funziona oppure no“.

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Una volta avvenuta l’analisi si possono prendere decisioni per automatizzare. Ma farlo senza una strategia può risultare avventato. “Analizzando le domande più ricorrenti e i problemi che emergono più spesso, possiamo anche pensare di introdurre l’intelligenza artificiale. Fornendo un servizio clienti self-service, implementando chatbot e bot vocali. Tutte soluzioni impossibili da raggiungere senza l’analisi dei dati”.

Customer Experience Data Driven: troppi dati, troppo segmentati

Parlando dei limiti che ancora oggi minano un’efficace strategia per curare l’esperienza degli utenti, Corrado Pelligra, proprietario di Omega3c, spiega: “Il vero problema oggi è l’abbondanza di dati. Oltre al contact center abbiamo i dati del CRM, i portali web di vendita, le app e tutti i vari processi di backend. Tantissimi dati, troppi per i nostri obiettivi. Serve quindi cambiare paradigma e partire dai KPI. Partire da quello che serve alle aziende e trovare i dati giusti per misurare quelle metriche“.

Porsi quindi degli obiettivi e capire come misurarli, per poi trovare i dati che servono a farlo. Fare Customer Experience Data Driven non significa lasciarsi trascinare dai dati, ma capire come analizzarli per trarre valore.

Provando anche a eliminare un altro grande problema: quello della segmentazione. “Un altro problema importante è la segmentazione dei dati: molte aziende raccolgono le informazioni in silos diversi, difficilmente consultabili. Per questo stanno emergendo diverse piattaforme che estrapolano dati dalle varie infrastrutture che si interfacciano con i clienti, per poi analizzarli tutti: i feedback vocali, i comportamenti sull’e-commerce, ecc. In questo modo possiamo costruire degli indicatori che mi illustrano l’esperienza dei clienti”.

I dati hanno bisogno di contesto

Bucalo chiarisce poi che nel capire come strutturare l’analisi dei dati, le aziende devono fare in modo di capirne appieno il significa prima di agire. Altrimenti si rischia di fraintendere le intenzioni dei clienti, perché si utilizza la statistica senza contestualizzarla.

Ci spiega: Trilussa banalizzava il concetto di statistica dicendo che è quella scienza per cui, se io mangio un pollo e tu nessuno, abbiamo mangiato un pollo a testa. Questo ci deve fare pensare che gli indici sintetici hanno necessariamente dei limiti. Bisogna provare a capire cosa hanno in comune sia i clienti più fedeli che quelli invece insoddisfatti. Magari arrivando alla conclusione la propria offerta è stata mal calibrata per un certo tipo di clientela, che non si può più recuperare”.

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Customer Experience Data Driven e l’importanza dell’elemento umano

Andrea D’Anselmo, Enterprise Sales Director di Five9, spiega che la raccolta dei dati e l’uso dell’AI non possono sostituire l’importanza delle persone che lavorano in azienda. Sia gli analisti, che chi è a contatto con i clienti. “Bisogna capire bene quale sia l’obiettivo delle aziende, bilanciando il lavoro delle persone con quello dell’intelligenza artificiale. Se un cliente chiama la banca per sapere il saldo sul conto, basta un bot per accontentarlo. Ma se deve spiegare perché non può pagare la prossima data del mutuo, solo un rapporto personale può dare al cliente quello che cerca. Creare questa ‘digital workforce’ permette di offrire un’esperienza migliore: bisogna saperla bilanciare in maniera armoniosa”.

Bucalo interviene spiegando: “Io preferisco parlare di ‘digital enhanced workforce’, di una forza lavoro aiutata dall’intelligenza artificiale. L’intelligenza artificiale non può ancora rispondere a tutte le interazioni, bisogna creare best practice che permettano di contattare personalmente i clienti quando l’AI non dà soluzioni. A seconda del settore potrebbe essere necessario farlo anche prima di 24 ore, come nel settore sanitario, per esempio“.

Anche se a volte basta poco per rendere l’interazione più umana. A volte basta anche inserire l’elemento umano nella macchina, per così dire. Abbiamo visto che cambiando il copy di un’interazione in modo che fosse più ‘conversazionale’, per esempio aggiungendo frasi fatte come ‘mai una gioia’, il tasso di conversione passa dal 1,3% all’8%. Un aumento del 500%”.

Mettere i clienti al centro: bot o agente umano?

Dalla discussione emerge quindi come la centralità del clienti sia la cosa più importante: trovate la soluzione perfetta per lui, non necessariamente quella più economica, è l’obiettivo. Lo scambio di valore fra azienda e cliente deve prendere il passo di una visione meramente economica: il rapporto con i clienti spesso vale più di una riduzione di spesa o un aumento di ricavi. Ma per capire e governare tutto questo, serve che la Customer Experience sia Data Driven.

Solo partendo da queste considerazioni si possono fare scelte oculate, come per esempio la decisione fra utilizzare un chatbot o far parlare il cliente con un operatore umano. D’Anselmo ci spiega: “Le aziende che ottengono successo con la customer experience sono quelle che studiano attentamente i propri clienti e i servizi che a loro servono. Inoltre, negli ultimi anni ci stiamo sempre più spostando verso l’employment experience: se gli agenti rispondono anche alle domande banali, che potrebbe gestire l’AI, sono meno ingaggiati. Quindi serve capire bene dove serve usare un bot e dove serve una persona”.

E Pelligra: “Bisogna fare sì che questa decisione, fra bot e persona, la faccia il cliente e non l’azienda. Analizzando i dati, si capisce dove serve, altrimenti i manager ragioneranno sempre in termini di riduzione del costo”.

Trovate ulteriori informazioni sul sito di CMI.

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Stefano Regazzi

Il battere sulla tastiera è la mia musica preferita. Nel senso che adoro scrivere, non perché ho una playlist su Spotify intitolata "Rumori da laptop": amo la tecnologia, ma non fino a quel punto! Lettore accanito, nerd da prima che andasse di moda.

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